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LES MEMOIRES

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Sironi, Paesaggio urbano con camion, 1920




Ettore Janulardo

Tre operai: l'ideologia e l'alterità della visione


Nel 1934, Carlo Bernari pubblica Tre operai. Il romanzo segna un momento importante nel rapporto tra letteratura e ideologia, sia sul piano dei contenuti narrativi sia - e, settant'anni dopo, soprattutto - per essere stato veicolo di tensioni culturali e rifrazione di scene urbane che restano luoghi di politiche incompiute.
Negli anni '30, la narrativa è in grado di proporre uno sguardo diverso sulla realtà italiana, lontano da schemi veristici ma anche da un espressionismo puramente esteriore. Attraverso uno sguardo critico sui grandi centri urbani e sul mondo della provincia si cerca di offrire suggestioni differenziate: l'orizzonte comunicativo della letteratura vuole essere nazionale e internazionale, senza limitarsi alla dimensione locale. E' un realismo che ricorre alla prospettiva della memoria e all'analisi delle relazioni, mobili e sfuggenti, tra individuo e contesto sociale. Carlo Bernari e Romano Bilenchi, da una parte, Alberto Moravia, dall'altra, suggeriscono - sulla falsariga dell'ambientazione sofferta o nostalgica di un individuo in un determinato ambiente - immagini e spaccati della vita urbana dalla grande intensità immaginativa.

Di origine francese, Carlo Bernari nasce a Napoli nel 1909. La sua formazione culturale di autodidatta riunisce in modo personale lo storicismo crociano, l'attenzione alle avanguardie europee e una forte tensione verso il socialismo. Rielaborando una stesura precedente, Gli stracci, nel 1934 Bernari pubblica il suo libro più famoso, Tre operai.
Il romanzo costituisce una tappa storicamente significativa nella relazione tra narrativa e lettura socio-economica della scena cittadina, attraverso pagine che si qualificano tra le più pittoricamente visive e, al contempo, tra le più problematicamente ideologiche dell'intero decennio. Svolgendosi tra gli anni '10 e la stagione dell'occupazione delle fabbriche nel 1920 - all'apogeo del "biennio rosso" - la vicenda dei tre operai meridionali alterna discorso diretto e indiretto e si costruisce attraverso una successione di scene urbane nella tradizione della tensione politica dell'espressionismo tedesco.
Nel romanzo, Napoli e la sua periferia si offrono con gli accenti oscuri tipici dei paesaggi industriali milanesi di Sironi, anche se negli anni '10 manca un panorama produttivo significativo nella metropoli meridionale. Attraverso lo sguardo di uno dei protagonisti emerge così il basso livello tecnologico della ditta presso cui egli lavora (citazioni tratte da C. Bernari, Tre operai, 1934, ediz. Milano, Mondadori, 1993):

"Teodoro guarda quelle cose svogliato. Si aspettava di entrare in una vera fabbrica con un complesso macchinario, invece si trova in un ambiente stretto, macchine panciute e primitive, che hanno nomi goffi ... nulla che faccia pensare all'industria, alla grande industria che lui sognava abbandonando la scuola".

La valenza pittorico-visiva, dal taglio cinematografico ed espressionistico, è un dato costitutivo del romanzo, ciò che ancora oggi - a settant'anni dalla pubblicazione - fa del libro un caso storico aperto, al di là della confusa dimensione ideologica dei protagonisti e delle interpretazioni - anche divergenti - che la critica storico-politica ha saputo trarne. E' proprio attraverso la meditata riproposizione del lessico urbano dell'opera sironiana che emerge l'autentica innovazione "politica" - nel senso eminentemente etimologico - della narrazione di Bernari. Resa con "pennellate" geometriche, pastose e tenebrose, corrispondenti alle tracce figurative consacrate da Sironi alla periferia milanese, la metropoli meridionale è costantemente implicata nella sconfitta morale e materiale dei protagonisti: soffocate le loro speranze individuali, anche la prospettiva di rinnovamento sociale svanisce nel viluppo delle sconfitte operaie.
Non in protagonisti dalle dichiarazioni ingenue o verbose, non nell'artificio di parlare al lettore degli anni '30 attraverso una città immaginaria proiettata all'indietro nel tempo, la carica politica del romanzo risiede allora nella capacità dell'autore di fare di Napoli un luogo dello straniamento: è l' "invenzione" del luogo a fare di esso, oggi, uno spaccato d'irrisolte tensioni che si sostanziano e s'inverano proprio nella "falsità" di una scena brechtiana. Bernari esprime e rappresenta la dissoluzione, sia nelle facciate degli edifici - rese nere e sporche dagli scarichi industriali - sia nella pretesa e velleitaria libertà dei personaggi sia, ancora, nei paesaggi meridionali, che l'autore evita di riprodurre in termini di luminosità mediterranea. Ricusando ogni topos localistico, o le divagazioni para-archeologiche nei meandri greco-romani della città, Bernari mostra l'atmosfera livida e i "paesaggi interiori" di quella che definisce "la terza Napoli", la città industriale dall'autore retrodatata, segnata poi per decenni da gasometri e altiforni:

"Il nostro nerofumo, quando si spande sui mesti bucati stesi tra balcone e balcone, non è più allegro del nerofumo che si posa sui tetti del suburbio di Lilla, di Anversa o di Berlino".

Riferimenti ambientali "con prospettive esasperate, atmosfere allusive, in una sfocata dilatazione degli effetti visivi, a mezza strada tra espressionismo e metafisica" definiscono una sorta di spazio psicosomatico, segnato da pioggia e sole comunque sgradevoli, riflessi dell'angosciata inanità dei personaggi rappresentati.
E, attraverso la citazione di un tram nella notte, emerge l'atmosfera di luoghi che sono periferia dell'anima ove un protagonista gira a vuoto:

" ... Davanti a lui si estende il Vasto, segnato da miseri alberi di cartapesta. Si ode il rumore di un tram che si avvicina stridendo, la luce dall'interno della vettura si proietta a quadretti sul selciato.
Il tram gira intorno alle mura alte del vecchio carcere del Tribunale su cui un manifesto si ripete centinaia di volte, come una serie di francobolli. Il quadro luminoso del suo finestrino si proietta, con l'ombra della sua figura, sui muri, sui cartelli, sui muri ...".

Come in pagine seccamente descrittive dedicate da Moravia ai quartieri e ai villini romani, Bernari rappresenta il misero squallore di edifici ed appartamenti i cui odori - o cattivi odori - formano tracce olfattive di collegamento tra le scale degli androni e il "grigiore" dello spazio pubblico:

"Nelle scale sente il cattivo odore delle immondizie, che esala dai secchi appena vuotati. Legge il suo nome sulla parete, accanto ad un pupazzo crocifisso. La strada è grigia, e i tram passano con le luci ancora accese".

Nell'aprile 1934, in una nota critica su Tre operai, Guido Piovene aveva già citato le atmosfere sironiane. Se Bernari era stato sorpreso, e offeso, dalla relazione individuata tra il proprio romanzo e le tavole dell'illustratore della rivista fascista "Gerarchia", è istruttivo leggere l'opinione del romanziere espressa in una nota di trent'anni posteriore:

" ... allora mi suonò come un affronto. Conoscevo di Sironi i manifesti celebrativi del fascismo e le tavole con cui egli veniva illustrando ... articoli e racconti. Era naturale che travolgessi in un giudizio senz'appello anche la sua migliore pittura, dalla quale avevo tratto, pur senza volerlo, una lezione figurativa; lezione che integrava l'altra, proveniente dal cinema realista europeo o americano, che con aria di scandalo mi si rimproverava di aver subìto. I muri screpolati di Sironi, le sue tragiche rocce ... che respingono ogni fisica identificazione col reale e si dispiegano come specchi a riflettere il furore degli uomini, la loro stanchezza di vivere, le loro paure, erano anch'esse visioni congruenti al cinema di quel periodo ...".

Ammettendo una sostanziale omologazione al contesto culturale degli anni '20-'30, nonostante incompiuti tentativi di situarsi in un'ottica di alterità, Bernari prosegue:

"Era il clima, la cultura del tempo, che si estrinsecava nei quadri, non meno che nei libri e nei film. Credevamo di esserne fuori, di giudicarla; mentre vi eravamo immersi fino al collo, con tutti gli entusiasmi e gli sgomenti che quella cultura ci ispirava".

Quanto alle circostanze che hanno permesso la pubblicazione del romanzo nel 1934 - pur tra accoglienze incerte e velenose stroncature dell'allora bargelliano Vittorini -, Bernari ricorda la "confusione ideologica, tipica dei regimi tirannici", ove si può "accogliere di tutto ... in un conflitto apparente, che si ricomponeva però prima ancora di intaccare i principi su cui si fondava il regime".

E infatti Tre operai, qualche mese dopo la pubblicazione, patisce l'oblio delle recensioni e la sparizione dalle librerie. Prodotto immaturo di un autore curioso di esprimersi, romanzo tanto più interessante in quanto alla frontiera di territori visivi e ideologici differenti, diviene sotto il fascismo "invisibile" e irreperibile, sorta di criptica parabola sulla confusione che contrassegna la nascita e l'affermarsi dei regimi.

Paru dans "Studi e ricerche di storia contemporanea", n. 61, giugno 2004

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